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giovedì 21 aprile 2016

Mantenimento e nuova convivenza: linea drastica della Cassazione



Mantenimento e nuova convivenza: linea drastica della Cassazione
L’unione di fatto intrapresa dall’ex dopo la separazione fa venir meno il diritto al mantenimento che non rinasce neppure qualora essa si rompa.
 Sono molti coloro che, dopo la separazione o il divorzio, intraprendono una nuova convivenza e, spesso, creano una nuova famiglia. Ebbene, per quelli di loro che, sino ad oggi, hanno confidato sul diritto a ricevere un assegno di mantenimento dall’ex sono in arrivo brutte notizie.
La Cassazione, infatti, con una pronuncia di pochi giorni fa [1] ha sancito un nuovo e importante principio: quello secondo cui, quando uno dei coniugi abbia intrapreso una relazione di fatto, non solo questa fa venir meno il diritto all’assegno divorzile, ma esso non risorge nel caso in cui tale relazione venga a cessare.
 Per meglio comprendere le conclusioni dei Supremi giudici è bene fare un passo indietro.
 Se, per legge [2], infatti, solo il nuovo matrimonio è in grado di far cessare in automatico il diritto al mantenimento da parte del coniuge economicamente più debole, tuttavia la Corte già da qualche tempo aveva affermato [3] che la convivenza dell’ex costituisce una circostanza in grado di far venir meno il diritto all’assegno.
 Tale orientamento, tuttavia, partiva dal fatto di attribuire un carattere temporaneo alla unione di fatto, sicché,  comunque, il diritto in questione poteva rinascere una volta che l’ex beneficiario avesse provato la rottura della relazione.
 Non vi era dunque nessuna certezza per il coniuge onerato del mantenimento, il quale – in qualsiasi momento – poteva trovarsi nuovamente obbligato a versare l’assegno. Situazione questa che, non lo si può negare, ha costituito fino ad oggi oggetto di non pochi “abusi” solo ove si pensi a tutte cessazioni delle convivenze intervenute “guarda caso” poco prima di un divorzio, proprio quando, cioè, i coniugi si trovano a discutere sulla spettanza o meno di un assegno divorzile.
 Con questa pronuncia, quindi, la Suprema Corte spiana la strada ad un orientamento che riconosce un nuovo e – crediamo – più giusto peso alla famiglia di fatto, indicandola non solo nella situazione di convivenza dei coniugi, ma innanzitutto – usando le sue parole – in “una famiglia portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, e di educazione e istruzione dei figli”.
 E ciò, anche in ragione della necessità di tutela del coniuge obbligato, il quale – sottolinea la Cassazione – è giusto che possa confidare, in presenza di una relazione e convivenza di fatto dell’ex, nel definitivo esonero dall’obbligo di versare l’assegno.
 Requisiti della famiglia di fatto
È giusto precisare, tuttavia, che per i Supremi giudici queste importanti ripercussioni economiche possono avere effetto solo quando la convivenza intrapresa dall’ex sia di tipo stabile e duraturo, al pari di quanto avviene nella famiglia fondata sul matrimonio. Solo in questo modo, infatti, essa assume i connotati della famiglia di fatto vera e propria; quella cioè che permette di considerare rescisso ogni legame con il tenore di vita di cui alla convivenza tra marito e moglie e, di conseguenza, venuto meno il presupposto per il riconoscimento di un assegno di divorzio.

È giusto – aggiunge la Corte – che, chi decide di intraprendere una relazione stabile, si assuma anche i rischi della cessazione della convivenza che rappresenta anche una decisione di coerenza; l’unione di fatto è, infatti, “espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, da parte del coniuge, eventualmente potenziata dalla nascita di figli”.

La pronuncia in esame, che si allinea tra l’altro alla posizione di altri Paesi europei (che addirittura parificano ad ogni effetto di legge il matrimonio e la convivenza) sicuramente segna un passaggio importante al riconoscimento da parte del legislatore di un maggiore valore sociale alle famiglie di fatto.

La vicenda
Nel caso di specie la Suprema Corte ha accolto la domanda con cui un uomo chiedeva di non dover più versare un assegno mensile di 1000 euro alla moglie; la donna infatti, nel periodo della separazione, aveva intrapreso una stabile relazione da cui erano nati dei figli, ma che poi si era conclusa.

In pratica
Se, fino a questo momento, l’orientamento della giurisprudenza è stato quello di prevedere una sorta di sospensione del beneficio economico dell’assegno divorzile fino alla permanenza dell’unione di fatto del coniuge economicamente più debole, con questa pronuncia, la Suprema Corte afferma che il diritto a beneficiare dell’assegno debba ritenersi cessato (e che non possa più rinascere) anche nel caso in cui la relazione di fatto si concluda.
[1] Cass. sent. n. 6855/15 del 3.04.15.
[2] Art. 5 co.10 L.898/70.
[3] Cass. sent.17195/11.

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