Separazione,
mantenimento: conta capacità reddituale certa parte più debole, irrilevante
breve durata vincolo
13-04-2016
07:10 - Cassazione Sezioni Civili
Lo ha
affermato la Corte di Cassazione con Sentenza n. 6433 del 2016 con la quale i
supremi giudici hanno precisato che la mera attitudine al lavoro del coniuge
richiedente l´assegno di mantenimento non è sufficiente, di per sè, a
dimostrare il possesso di un´effettiva capacità a produrre reddito .
I Supremi Giudici hanno sottolineato, infatti, che bisogna necessariamente
tener conto delle concrete prospettive occupazionali connesse a circostanze
soggettive ed oggettive concrete, non potendosi invece operare una valutazione
astratta ed aleatoria.
In altre parole gli Ermellini, ben coscienti della realtà economico- sociale In
essere, hanno affermato che ai fini della richiamata valutazione Il Giudice
deve necessariamente fare riferimento ai parametri su menzionati.
In effetti, i Giudici di prime cure si erano attenuti all´orientamento
consolidato della giurisprudenza di legittimità, che nell´ambito del relativo
accertamento, ai fini del riconoscimento e della quantificazione del l´assegno,
ha distinto due fasi: la prima diretta a verificare l´esistenza del diritto in
astratto, in relazione all´inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente,
raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di
matrimonio e che sarebbe stato presumibilmente proseguito in caso di
continuazione dello stesso vincolo, o quale avrebbe potuto legittimamente e
ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del
rapporto; la seconda volta alla determinazione in concreto dell´assegno, sulla
base delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del
contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e
alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonchè del reddito
di entrambi, da valutarsi anche in rapporto alla durata del matrimonio.
La Corte di merito, in maniera indubbiamente corretta, aveva valorizzato anche
la difficoltà di reperire un´occupazione adeguata, pur tenendo in
considerazione la capacità lavorativa della giovane donna.
Inoltre, con la Sentenza in commento, i Supremi Giudici hanno precisato che la
funzione eminentemente assistenziale di tale contributo, volto a tutelare il
coniuge economicamente più debole, esclude la possibilità di negarne
l´attribuzione in virtù della breve durata del matrimonio.
FATTO E DIRITTO
E' stata depositata in
Cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c.:
"1. Con la sentenza di cui
in epigrafe, la Corte d'Appello di Roma ha accolto parzialmente l'appello
proposto da S.A. avverso la sentenza emessa il 4 gennaio 2012, con cui il
Tribunale di Frosinone, nel pronunciare la cessazione degli effetti civili del
matrimonio contratto dall'appellante con A.R., aveva posto a carico di
quest'ultimo l'obbligo di corrispondere l'assegno divorzile, ed ha
rideterminato l'importo dell'assegno in Euro 500,00 mensili, da rivalutarsi
annualmente secondo l'indice istat, con decorrenza dal mese di (OMISSIS),
rigettando l'appello incidentale proposto dall' A..
2. - Avverso la predetta sentenza
l' A. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, al quale la
S. ha resistito con controricorso.
3. A sostegno dell'impugnazione,
il ricorrente ha dedotto:
a) la violazione e la falsa
applicazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, sostenendo che, ai fini
del riconoscimento e della determinazione dell'assegno, la sentenza impugnata
non ha tenuto conto della capacità lavorativa della S., comprovata dalla
giovane età e dalla titolarità di un impiego retribuito, nè della sua
possibilità di aspirare ad un'occupazione più adeguata alle sue esigenze
economiche, ponendo a carico di esso ricorrente gli oneri conseguenti alla scelta
della donna di stabilirsi a (OMISSIS) e trascurando la breve durata del
rapporto coniugale, che aveva impedito la maturazione di aspettative in ordine
al mantenimento di un elevato standard di vira;
b) la violazione e la falsa
applicazione dell'art. 91 c.p.c., affermando che, nel condannarlo al pagamento
delle spese processuali, in virtù del rigetto dell'appello incidentale, la
sentenza impugnata non ha tenuto conto dell'accoglimento soltanto parziale
della domanda di rideterminazione dell'assegno divorzile, che avrebbe
giustificato quanto meno la compensazione delle spese.
4. - Il primo motivo è infondato.
Ai fini del riconoscimento del
diritto all'assegno, la sentenza impugnata si è correttamente attenuta
all'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, che
nell'ambito del relativo accertamento distingue due fasi, la prima diretta a
verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza
dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a
quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito
in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e
ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del
rapporto, e la seconda volta alla determinazione in concreto dello assegno,
sulla base delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del
contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e
alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonchè del reddito
di entrambi, da valutarsi anche in rapporto alla durata del matrimonio (cfr.
Cass., Sez. 1, 9 giugno 2015, n. 11870; 15 maggio 2013, n. 11686; 4 ottobre
2010, n. 20582).
Nel valutare l'adeguatezza delle
risorse economiche a disposizione della S., essa non ha affatto omesso di
conferire rilievo alla capacità lavorativa della stessa, avendo dato
opportunamente atto che a seguito della separazione dal coniuge ella ha trovato
occupazione come lavoratrice dipendente, ma avendo anche accertato che la
relativa retribuzione non le consente di mantenere un tenore di vita
comparabile a quello goduto nel corso della convivenza; nell'ambito di tale
verifica, la Corte di merito ha peraltro valorizzato anche la difficoltà di
reperire un'occupazione adeguata, in conseguenza dell'età della
controricorrente e dell'attuale situazione di crisi economica, in tal modo
conformandosi al principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui la
mera attitudine al lavoro del coniuge che richiede l'assegno non è sufficiente,
se valutata in modo ipotetico ed astratto, a dimostrare il possesso di
un'effettiva capacità reddituale, dovendosi tener conto delle concrete
prospettive occupazionali connesse a fattori di carattere individuale ed alla
situazione ambientale, nonchè delle reali opportunità offerte dalla congiuntura
economico-sociale in atto (cfr. Cass., Sez. 1, 23 ottobre 2015, n. 21670; 17
gennaio 2002, n. 432; 19 luglio 1980, n. 4741). Non ha poi fondamento
l'affermazione secondo cui la sentenza impugnata avrebbe fatto ricadere sull'
A. i maggiori oneri conseguenti al trasferimento dell'abitazione della S. da
(OMISSIS), in quanto, indipendentemente dal carattere necessitato di tale
scelta, imposta dal reperimento di un impiego nella Capitale, la Corte
distrettuale ha precisato di non averne tenuto conto ai fini del riconoscimento
del diritto all'assegno. La funzione eminentemente assistenziale di tale
contributo, volto a tutelare il coniuge economicamente più debole, esclude
infine la possibilità di negarne l'attribuzione in virtù della breve durata
della convivenza, la quale può venire in considerazione, in concorso con altri
elementi, esclusivamente ai fini della commisurazione del relativo importo, a
meno che, per volontà e colpa del richiedente, non abbia impedito la formazione
di una comunione materiale e spirituale di vita tra i coniugi, in modo tale da
far ritenere che il vincolo coniugale si sia solo formalmente costituito (cfr.
Cass., Sez. 6, 26 marzo 2015, n. 6164; Cass., Sez. 1, 22 marzo 2013, n. 7295;
16 giugno 2000, n. 8233). Nella specie, peraltro, tale eventualità non è stata
in alcun modo prospettata, essendo emersa soltanto una rilevante sproporzione
tra la durata della convivenza (protrattasi per poco più di tre anni) e quella
del matrimonio (scioltosi a circa quindici anni di distanza dalla
celebrazione), rispetto alla quale la sentenza impugnata ha ritenuto, con
motivazione immune da vizi logici, di dover attribuire prevalente rilievo al
vistoso squilibrio tra le condizioni economico patrimoniali delle parti.
5. E' altresì infondato il
secondo motivo.
Nel condannare l'appellato al
pagamento delle spese processuali, nonostante l'accoglimento soltanto parziale
del gravame principale, la sentenza impugnata ha fatto puntuale applicazione del
criterio della soccombenza, avendo tenuto conto dell'esito complessivo del
giudizio, sostanzialmente favorevole all'appellante, in quanto contraddistinto
dalla liquidazione dell'assegno in misura superiore a quella determinata dalla
sentenza di primo grado e dal rigetto dell'appello incidentale, con cui era
stata chiesta l'esclusione dell'obbligo di corrispondere il predetto
contributo. L'accoglimento soltanto parziale della domanda non attribuisce
d'altronde alla controparte il diritto alla compensazione, totale o parziale,
delle spese processuali, trattandosi di un provvedimento rimesso al potere
discrezionale del giudice di merito, che prescinde da una valutazione della
soccombenza in termini puramente quantitativi (cfr. Cass., Sez. 2, 11 gennaio
1979, n. 199; 26 gennaio 1978, n. 375)".
Il collegio, esaminato il
ricorso, la relazione e gli scritti difensivi in atti, ritiene condivisibile
l'opinione espressa dal relatore e la soluzione da lui proposta.
Il ricorso va pertanto rigettato,
con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si
liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e
condanna A.R. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in
complessivi Euro 2.100,00, ivi compresi Euro 2.000,00 per compensi ed Euro
100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio
2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma
del medesimo art. 13, comma 1-bis.
Ai sensi del D.Lgs. 30 giugno
2003, n. 196, art. 52, dispone che, in caso di diffusione della presente
ordinanza, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi delle
parti.
Così deciso in Roma, nella Camera
di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 19 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 4
aprile 2016