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giovedì 5 gennaio 2017

Mantenimento: l'obbligo resta se il figlio è apprendista



Mantenimento: l'obbligo resta se il figlio è apprendista
Per la Corte d'appello di Roma l'apprendistato non permette di per sé il raggiungimento dell'autosufficienza economica
Il figlio apprendista va mantenuto dal genitore, non potendosi ritenere che egli sia economicamente indipendente solo perché è titolare di un contratto di apprendistato.
Per la Corte d'appello di Roma, un simile contratto è infatti divergente rispetto a quello di lavoro subordinato, sotto diversi aspetti tra i quali rientrano anche i profili retributivi.
Di conseguenza non è possibile addurre a sostegno della presunta totale autosufficienza economica del figlio la mera prestazione di lavoro in qualità di apprendista, in quanto questa non è di per sé tale da dimostrarne la totale autosufficienza economica.
A tal fine non rileva infatti il mero godimento di un reddito quale che sia, ma per potersi manlevare dall'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento è necessario fornire anche la prova dell'effettivo trattamento economico che, in relazione al rapporto di apprendistato, il figlio percepisce.
Più precisamente, occorre dimostrare che tale trattamento è non solo proporzionato e sufficiente in virtù di quanto previsto dall'articolo 36 della Costituzione, ma pure idoneo ad assicurare l'autosufficienza economica dell'apprendista, con riferimento anche alla durata del rapporto, sia passata che futura.
E proprio così argomentando, con la sentenza numero 6080/2016 qui sotto allegata il giudice capitolino ha respinto l'appello di un padre, confermando l'importo di 280 euro mensili a titolo di assegno di mantenimento dallo stesso dovuto al figlio apprendista (che peraltro nel frattempo si era anche dimesso per problemi di salute ed era tornato ad essere disoccupato).

lunedì 2 gennaio 2017

Quando si può prendere il Tfr del coniuge divorziato?



Quando si può prendere il Tfr del coniuge divorziato?
La quota di trattamento fine rapporto spetta solo se si prende l’assegno di mantenimento e si è ancora single. Ecco quando si ha diritto e quanto si prende.
 Non più del 40%. Ma scusate se è poco. E’ la quota che, a certe condizioni, uno dei due coniugi divorziati può pretendere dal Tfr dell’altro. A quali condizioni? La prima riguarda il calcolo riferito al tempo in cui il lavoro del coniuge è coinciso con il matrimonio. Tanto hai lavorato mentre eravamo sposati, tanto mi spetta (mai, comunque, oltre la soglia del 40% del suo trattamento fine rapporto). C’è poco da piangere: questa percentuale si aggiunge all’assegno di mantenimento e all’eventuale pensione di reversibilità. Sempre che si abbia diritto a tutto quanto.
E’ la legge sul divorzio [1] a stabilire che se un lavoratore ha messo definitivamente la parola “fine” al suo matrimonio deve corrispondere una quota del suo Tfr all’ex marito o all’ex moglie, anche se già versa l’assegno di mantenimento. Sempre che l’altro (o l’altra) non si sia risposato (o risposata). La legge, infatti, recita: «Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento e di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze, e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio».
Vediamo, allora, nel dettaglio quando si può prendere il Tfr dal coniuge divorziato.
Il diritto a prendere il Tfr dal coniuge divorziato
Per avere diritto a prendere il Tfr dal coniuge divorziato ci devono essere un paio di premesse: che chi pretende il Tfr percepisca già l’assegno di mantenimento con cadenza periodica. Ciò vuol dire che se ha ricevuto dall’ex coniuge un assegno una tantum o, peggio ancora, non ha proprio diritto all’assegno, il Tfr dal coniuge divorziato se lo può sognare. Men che meno se chi pretende il Tfr dal coniuge divorziato si è sposato (o sposata) di nuovo. Ma se chi pretende il Tfr rimane da solo (o da sola) e l’altro (o l’altra) si risposa, allora ha diritto al Tfr dell’ex.
In linea di massima, la quota di Tfr che finisce al coniuge più debole equivale a quella parte di retribuzione che, durante il matrimonio, serve a mantenere il nucleo familiare.
Ci sono, però, altri presupposti per avere diritto al Tfr dal coniuge divorziato. Se il trattamento di fine rapporto è maturato prima della sentenza di divorzio, sarà il giudice a stabilire se il Tfr deve essere o meno versato. Se, invece, il Tfr è maturato dopo il divorzio, chi dei due pretende la quota di quel trattamento di fine rapporto deve avanzare un’istanza affinché il suo diritto venga verificato e riconosciuto. E qui si torna al punto di prima: il giudice dovrà accertare se il richiedente percepisce periodicamente l’assegno di mantenimento ed è rimasto single.
 Tfr dal coniuge divorziato: quanto si prende
L’abbiamo accennato prima: la percentuale di Tfr del coniuge divorziato dovuta all’ex coniuge arriva al massimo al 40% dell’indennità che riguarda gli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio [2]. Vale a dire: la quota maturata prima di convolare a nozze e dopo la sentenza di divorzio non viene calcolata. Spetta, invece, quella che concerne il periodo di separazione legale, in quanto questa fase, legalmente, fa parte del matrimonio.
Attenzione, però: se il coniuge che deve versare la quota di Tfr ha già chiesto e ottenuto un anticipo sul trattamento di fine rapporto dalla sua azienda, la somma incassata a tale titolo non deve essere calcolata su quel 40%: rientra, infatti, nel patrimonio del coniuge lavoratore e, quindi, non può essere revocato né preteso dall’ex marito o dall’ex moglie.
Facciamo due conti utilizzando la calcolatrice che la Cassazione ha usato per stabilire quanto si può prendere del Tfr del coniuge divorziato [3]:
  • primo dato: il 40% del Tfr che il coniuge lavoratore ha percepito o sta percependo;
  • secondo dato: quel 40% va suddiviso per il numero di anni lavorati in azienda;
  • terzo e ultimo dato: moltiplicare il risultato per gli anni di matrimonio (compreso il periodo di separazione fino alla sentenza di divorzio) durante i quali il coniuge ha prestato servizio in azienda.
Tradotto in cifre:
  • il coniuge lavoratore ha accantonato 40.000 euro di Tfr. Il 40% è pari a 16.000 euro;
  • il coniuge ha lavorato 10 anni in quell’azienda. 16.000 euro diviso 10 fa 1.600 euro;
  • il coniuge ha ottenuto la sentenza di divorzio dopo 9 anni di matrimonio (prendiamo il caso della solita crisi del settimo anno, più un annetto di separazione ed i tempi tecnici per la sentenza di divorzio). 1.600 euro moltiplicato per 9 fa 14.400 euro. E’ la cifra che deve versare.
A meno che… A meno che il coniuge lavoratore (ormai abbiamo chiamato così quello che deve corrispondere la quota di Tfr all’altro) si dimetta dal lavoro prima della sentenza di divorzio. In questo caso, il Tfr lo tiene per sé. E l’altro coniuge resta a bocca asciutta [4].
[1] Legge 890/1970.
[2] Art. 12, legge 890/1970.
[3] Cass. sent. n. 348/2012.
[4] Corte Cost., sent. n. 463/2002 e Cass. sent. n. 21002/2008.