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lunedì 17 ottobre 2016

Ecco quando il coniuge tradito ha diritto al risarcimento del danno



Ecco quando il coniuge tradito ha diritto al risarcimento del danno
Casi e presupposti in cui al tradimento può seguire una condanna per risarcimento danni
Fiumi di pagine hanno alimentato nel corso degli anni la giurisprudenza in tema di infedeltà e addebito della separazione: il codice civile, all'art. 143, prevede espressamente quali sono "I diritti e doveri reciproci dei coniugi". In base a tale norma i coniugi sono tenuti non solo a collaborare nell'interesse della famiglia, a vivere sotto uno stesso tetto e a garantirsi una reciproca assistenza morale e materiale, l'art. 143 pone a carico delle parti anche un obbligo reciproco alla fedeltà.

Cosa accade in caso di comportamenti contrari al dovere di fedeltà?
Innanzitutto in sede di separazione, il giudice, se accerta che il comportamento di un coniuge è stato contrario ai doveri che derivano dal matrimonio (art. 151 c.c.), dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi questa sia addebitabile.
Naturalmente l'addebito non consegue automaticamente alla mera presa d'atto dell'avvenuto tradimento: è, infatti, necessario accertare se la violazione del dovere di fedeltà abbia assunto specifica efficienza causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se la relazione extra coniugale sia intervenuta quando la coppia era già in crisi per altri motivi.

Diverse le pronunce in cui si è ricordato che al coniuge infedele non è addebitabile la separazione se il tradimento non è stato la causa scatenante della crisi matrimoniale, crisi che, invece, era già in atto ed era stata provocata da altre ragioni. Si veda in proposito:"Separazione: addebito al marito infedele se non prova che l'amante è arrivata quando il matrimonio era già in crisi".

In sostanza solo quando la relazione è naufragata per colpa del coniuge fedifrago e del suo comportamento infedele, allora il tradimento può essere davvero motivo di addebito della separazione.

Il risarcimento del danno in favore del coniuge tradito
La Cassazione, tuttavia, si è spinta oltre, arrivando a riconoscere al coniuge tradito addirittura il diritto al risarcimento del danno, in quanto la violazione degli obblighi coniugali è idonea a integrare un vero e proprio illecito civile, vista la natura giuridica, oltre che morale, dei doveri derivanti dall'unione.

In una sentenza del 2005 (n. 9801/2005) la Corte aveva fatto notare che i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio non sono di carattere esclusivamente morale, ma hanno natura giuridica, come si desume dal riferimento, contenuto nell'art. 143 c.c., alle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto nonché dall'espresso riconoscimento, nell'art. 160 c.c., della loro inderogabilità e dalle conseguenze di ordine giuridico che l'ordinamento fa derivare dalla loro violazione. Cosicché deve ritenersi che l'interesse di ciascun coniuge nei confronti dell'altro alla loro osservanza abbia valenza di diritto soggettivo.

Prendendo spunto da questa posizione, nella nota sentenza n. 18853/2011, la prima sezione civile della Cassazione ha precisato che la violazione di quei doveri non trova necessariamente la propria sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma può anche, ove ne sussistano tutti i presupposti secondo le regole generali, integrare gli estremi di un illecito civile.

Presupposti per ottenere il risarcimento
Per la Corte, però, non è sufficiente in tal senso la mera violazione dei doveri matrimoniali, e neppure la pronuncia di addebito della separazione: questi non possono di per sè e automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo, in particolare, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti per cui viene riconosciuta detta responsabilità ossia la concreta violazione del dovere coniugale, la sussistenza del danno ingiusto e la prova del nesso causale tra violazione commessa e danno procurato.

Nel caso dell'infedeltà va dimostrato, precisa il Collegio, che questa "per le sue modalità e in relazione alla specificità della fattispecie, abbia dato luogo a lesione della salute del coniuge (lesione che dovrà essere dimostrata anche sotto il profilo del nesso di causalità)" oppure se "l'infedeltà per le sue modalità abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell'offesa di per sè insita nella violazione dell'obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto".

La Cassazione aggiunge che l'azione non è impedita dal fatto che i coniugi siano addivenuti a separazione consensuale e la separata azione per il risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e riguardanti diritti costituzionalmente protetti è esperibile anche in mancanza di addebito della separazione.

L'indirizzo innovativo della Cassazione ha trovato conferma in diverse pronunce recenti: nell'ordinanza 19193/2015 la Suprema Corte ha confermato la condanna al risarcimento dei danni di un ex marito che aveva, con un atteggiamento equivoco e mistificatorio, indotto la moglie a ritenere superata la pregressa crisi coniugale mentre, per anni, aveva portato avanti una convivenza con altra donna di cui erano a conoscenza almeno i parenti dell'uomo. Tale comportamento aveva provocato uno stato di depressione grave nella moglie, oltre che una grave lesione della dignità personale, ponendosi come produttivo di danni risarcibili.

Da questo indirizzo ha preso le distanze, di recente, il Tribunale di Roma (sentenza 25 giugno 2015), affermando che non può essere accolta la domanda di risarcimento danni per violazione dei doveri coniugali, se non c'è stata una pronuncia di addebito della separazione (per approfondimenti: Lei lo ha tradito più volte? Nessun risarcimento danni all'ex marito se non c'è l'addebito della separazione).

Per il Tribunale capitolino non può escludersi un rapporto di accessorietà tra addebito e domanda risarcitoria: trattandosi di danno derivante dalla violazione di specifici obblighi coniugali il medesimo dovrebbe essere necessariamente azionato nell'ambito del giudizio di separazione, con conseguente preclusione di un'azione successiva che potrebbe astrattamente porsi in contrasto con il giudicato già in precedenza formatosi sulla separazione.



giovedì 6 ottobre 2016

Stop mantenimento se lui paga anche il mutuo

Stop mantenimento se lui paga anche il mutuo
L’assegno viene diminuito o addirittura cancellato se l’ex coniuge provvede a versare la rata mensile alla banca.
 Non deve versare alcun mantenimento alla moglie l’ex coniuge che, con un reddito medio-basso, già si accolla, per ordine del giudice, le rate del mutuo sulla casa coniugale e, contemporaneamente, versa l’assegno di mantenimento per i figli. A dirlo è la Cassazione in una ordinanza [1] pubblicata qualche ora fa.
 È salvo così l’uomo che già doveva versare alla moglie l’assegno di mantenimento e, nello stesso tempo, poiché a quest’ultima era stata assegnata la casa coniugale e collocati i figli, anche il mantenimento di questi ultimi. Tre oneri insieme (banca, moglie e figli) sono davvero troppi per chi non guadagna a sufficienza già per sé. E così, secondo i giudici, è legittimo chiedere la revisione delle condizioni di separazione e ottenere la cancellazione almeno dell’obbligo di versamento dell’assegno mensile alla donna.
 Prima di stabilire se, e in quale misura, è dovuto il mantenimento, il giudice deve innanzitutto porre a confronto le due diverse posizioni di reddito tra i due coniugi: nel fare ciò, il tribunale deve sempre considerare l’onere che spetta a chi è tenuto a versare l’assegno per il mantenimento della prole e l’eventuale rata del mutuo contratto per l’acquisto dell’appartamento posseduto in comproprietà con l’ex.
Bisogna, insomma, che il magistrato consideri sempre l’incidenza di tali esborsi, certamente non esigui rispetto allo stipendio percepito, di questi tempi, da molti uomini.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 17 febbraio – 8 aprile 2015, n. 7053
Presidente Di Palma – Relatore Cristiano
E’ stata depositata la seguente relazione:
1) La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 21.2.013, ha respinto l’appello proposto da U.D.G. contro la sentenza del tribunale che aveva pronunciato la sua separazione dalla moglie L.S., ponendo a suo carico l’obbligo di versarle un assegno di mantenimento di € 400 mensili annualmente rivalutabili.
La corte territoriale, per ciò che ancora interessa nella presente sede, ha rilevato che l’appellante, maresciallo della G.d.F., godeva di un reddito da lavoro annuo pari a
circa il triplo di  quello dell_a S., operatrice presso un cali enter, che inoltre la signora, cui in sede di separazione era stata assegnata la casa familiare (in comproprietà di entrambi i coniugi), dove avrebbe dovuto continuare a risiedere insieme ai due figli minori, era stata sostanzialmente costretta a cercare una nuova abitazione, per la quale versava un canone mensile di € 900, mentre il D.G. abitava presumibilmente nell’appartamento, di cui aveva ottenuto la riconsegna sin dal 2008, pagando interamente la rata del mutuo contratto per l’acquisto; che dunque la posizione del marito, che godeva di stabilità lavorativa, di maggiori entrate economiche e non aveva spese abitative, era ben più favorevole di quella della moglie e giustificava il riconoscimento dell’assegno nella misura stabilita dal primo giudice.
2)La sentenza è stata impugnata da U.D.G. con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, resistito dalla S. con controricorso.
Il ricorrente, denunciando vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamenta, sotto un primo profilo, che la corte territoriale non abbia tenuto conto delle prove documentali da lui prodotte al fine di dimostrare che il suo reddito netto, di € 2050 mensili, è gravato, oltre che dall’assegno di mantenimento corrisposto alla moglie, anche da quello (di € 527 mensili) che versa per i figli, dalla rata del mutuo contratto per l’acquisto della casa (di € 628 mensili) e da un’ulteriore rata fissa (di E 140 mensili) a rimborso di un altro finanziamento, e che, pertanto, detratte tali spese fisse, la somma che gli resta, di poco più di 300 euro mensili, è del tutto insufficiente a far fronte alle esigenze della vita quotidiana; deduce, sotto altro profilo, che non è vero che egli abita nella casa coniugale, della quale la S. detiene in via esclusiva le chiavi, che non gli sono mai state riconsegnate. 3) 11 motivo appare, nella sua prima parte, manifestamente fondato, atteso che, nel porre a confronto le due diverse posizioni reddituali dei coniugi, la corte territoriale ha totalmente omesso di considerare che il D.G. corrisponde un assegno per il mantenimento dei due figli; il giudice, inoltre, dopo aver dato atto che il ricorrente si è interamente accollato la rata del mutuo contratto per l’acquisto dell’appartamento che possiede in comproprietà con la moglie, non ha tenuto conto neppure di tale onere, affermando contraddittoriamente che sul ricorrente non gravano spese abitative. Risulta pertanto omessa la doverosa valutazione dell’incidenza di tali esborsi – certamente non esigui rispetto allo stipendio percepito dal D.G. – sulla complessiva situazione economica dei ricorrente da porre a raffronto con quella della S., solo all’esito della quale potrà stabilirsi se, ed in quale misura, quest’ultima abbia diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento.
Nella sua seconda parte il motivo appare invece inammissibile, atteso che il ricorrente, il quale ha dichiarato di risiedere in via degli Zigoli 10, ovvero all’indirizzo in cui si trova la casa familiare, non ha chiarito perché il solo fatto che la moglie non gli abbia restituito le chiavi dell’appartamento gli impedirebbe di rientrarne in possesso e di abitarvi.
Si dovrebbe pertanto concludere per il parziale accoglimento dei ricorso, con conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.
La S. ha depositato memoria.
Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne ha condiviso le conclusioni, non utilmente contrastate dalla S. che, nella memoria, riferisce di nuove circostanze di fatto di cui non può tenersi conto nella presente sede di legittimità e che se mai, ricorrendone i presupposti processuali, potranno essere fatte valere nel corso del giudizio di rinvio._
II ricorso va pertanto parzialmente accolto, con conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che regolerà anche le spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento to siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in esso menzionati.
[1] Cass. ord. n. 7053/15 dell’8.04.2015.