L'ex coniuge
può chiedere la restituzione del denaro investito nella ristrutturazione
dell'immobile adibito a casa familiare di proprietà dei suoceri.
Cassazione Civile n. 8594 dell' 11 aprile 2014.
Nel caso di lavori fatti nell'immobile adibito a casa
familiare, di proprietà dei suoceri, il soggetto che ha provveduto a pagare i
lavori di ristrutturazione nella casa coniugale, in seguito a separazione, può
chiedere la restituzione delle somme.
A tal riguardo, per molto tempo, la giurisprudenza
della Suprema Corte di Cassazione, ha precisato che tale soggetto potesse
esperire l'azione prevista dall'art. 2041 del codice
civile ossia di arricchimento senza causa. La
norma citata prevede che “chi, senza una giusta causa, si è arricchito a
danno di un'altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a
indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”.
Ebbene, alla luce di quanto esposto, contrariamente
a tale orientamento, la Cassazione con la pronuncia n. 8594
dell'11.04.2014, ha precisato che si deve trattare di una azione di “ripetizione
dell'indebito” e non già invece una domanda di “arricchimento senza giusta
causa”
Per meglio dire, nella vicenda in esame, vi è stata la
richiesta di restituzione, da parte di una donna, delle somme da lei spese per
ammodernare l'appartamento di proprietà dei suoceri e da questi ultimi concesso
alla coppia come casa coniugale. Gli Ermellini, a tal riguardo hanno precisato
che è sempre possibile, quindi, recuperare i soldi utilizzati per la ristrutturazione di
una casa non propria, anche se adibita poi a tetto domestico. Infatti, sebbene
lo scopo di chi paga la ditta di lavori sia quello di avvantaggiare la coppia
(marito e moglie) con il rifacimento dell'appartamento, una volta che il
matrimonio si spezza tali migliorie restano ad esclusivo vantaggio del terzo
titolare dell'immobile.
Non essendo, infatti, l'appartamento più adibito a
casa coniugale, il proprietario avrebbe ricevuto un pagamento senza
titolo, con conseguente obbligo di restituzione.
È peraltro irrilevante che il denaro sia stato
materialmente donato, al coniuge che ha sostenuto tale spesa, da un terzo
soggetto (nel caso di specie, il padre della donna), e quest'ultimo lo abbia
poi investito nella ristrutturazione.
In virtù di quanto sopra esposto si evidenzia pertanto
che, per recuperare il denaro, non deve essere esperita la domanda di “arricchimento senza causa” ex. art. 2041
c,c., bensì la cosiddetta domanda di ripetizione
dell'indebito prevista dall'art. 2033 c.c. che recita “chi ha
eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò
che ha pagato”.
In pratica é un indebito oggettivo il
pagamento di un debito inesistente, cioè non dovuto né da colui
che ha eseguito la prestazione, né da altri (si tratta, dunque, di un pagamento
privo di qualsiasi causa giustificativa). La differenza tra i due rimedi si può
comprendere dalla vicenda regolata dalla sentenza: la donna aveva
speso in costanza di matrimonio, delle somme per ristrutturare la casa in cui
viveva con l'ex consorte concessa dai suoceri come casa coniugale e, terminata
la relazione, ne chiedeva la restituzione.
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