Mantenimento:
se l’ex coniuge dichiara di meno di quanto guadagna
Separazione e divorzio: per determinare la misura
dell’assegno di mantenimento il giudice deve verificare prima di tutto il
tenore di vita goduto durante il matrimonio.
A seguito di separazione o divorzio, nella
determinazione dell’assegno di mantenimento da versare all’ex coniuge
non pesano tanto le dichiarazioni dei redditi prodotti in giudizio dal soggetto
obbligato al versamento dell’assegno periodico quanto piuttosto l’esame del tenore
di vita goduto durante il matrimonio. È proprio dall’esame di quelle che
sono state le spese effettuate quando ancora la coppia era unita che il giudice
riesce a stabilire – come con una cartina di tornasole – qual è la capacità
reddituale del coniuge e se la documentazione fiscale di quest’ultimo risulta
non corrispondente all’effettivo reddito. L’importante chiarimento proviene da
una sentenza della Cassazione pubblicata ieri [1].
Secondo quanto si legge nel provvedimento in commento,
nelle cause di separazione o divorzio, nel momento in cui bisogna fissare
l’ammontare dell’assegno di mantenimento, la valutazione della documentazione
fiscale prodotta dalla parte non ha efficacia vincolante per il giudice, il
quale, nella sua valutazione discrezionale, può fondare la propria decisione su
altre prove come, in primo luogo, tutte quelle che denotano il tenore di
vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio. Viaggi, vacanze,
auto, cene, partecipazioni a manifestazioni, teatri, abbonamenti a utenze e
servizi vari: tutto fa brodo per ricostruire il reddito effettivo del coniuge,
al di là di quello che è stato dichiarato al fisco. Il giudice, insomma, fa un
po’ quello che normalmente compete all’Agenzia delle Entrate quando deve
accertare un reddito sulla base delle spese del contribuente.
L’assegno di mantenimento – lo ricordiamo
– viene imposto non al soggetto che ha colpa nella separazione, ma solo a colui
che ha un reddito superiore all’altro: non si tratta, quindi, di una misura punitiva,
ma di una espressione della solidarietà coniugale con funzione assistenziale.
Pertanto, il coniuge obbligato al pagamento dell’assegno risulta essere quello
che versa nelle condizioni economiche migliori, sia esso responsabile o meno
della crisi dell’unione familiare.
Proprio a tal fine, nel determinare l’ammontare
dell’assegno il giudice deve avere a riferimento, quale parametro essenziale,
il tenore di vita goduto nel corso del matrimonio da parte dei coniugi.
Il giudice non può quindi limitarsi a considerare solo il reddito emergente
dalla documentazione fiscale prodotta, ma dovrà considerare anche altre
variabili di carattere economico (o apprezzabili in termini economici),
suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti come, nel caso in esame,
il possedere un cospicuo patrimonio immobiliare, nonché di beni mobili
registrati (autovetture, motoveicoli, natanti), condurre uno stile di vita
particolarmente agiato e lussuoso.
Secondo la giurisprudenza, le dichiarazioni
dei redditi dell’ex coniuge hanno una funzione solo fiscale e non hanno
efficacia vincolante per il magistrato nell’ambito delle cause di separazione e
divorzio: egli, quindi, può fondare il proprio convincimento su altre
risultanze probatorie.
La sentenza
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 19
febbraio – 4 aprile 2016, n. 6427
Presidente Ragonesi – Relatore Mercolino
Fatto e diritto
È stata depositata in Cancelleria la seguente
relazione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
“1. – Con la sentenza di cui in epigrafe, la
Corte d’Appello di Catania ha rigettato l’appello proposto da G.P. avverso la
sentenza emessa il 21 maggio 2013, con cui il Tribunale di Ragusa, dopo aver
pronunciato la separazione personale dell’appellante dalla moglie M.M. , aveva
posto a carico del Gallo l’obbligo di corrispondere un assegno mensile di Euro
2.000,00 a titolo di contributo per il mantenimento del coniuge ed un assegno
mensile di Euro 1.000,00 per il mantenimento del figlio maggiorenne A. ,
convivente con la madre e non ancora economicamente autosufficiente.
2. –
Avverso la predetta sentenza il Gallo ha proposto ricorso per cassazione,
articolato in due motivi, al quale la Magro ha resistito con controricorso.
3. A
sostegno dell’impugnazione, il ricorrente ha dedotto:
a) la violazione e
la falsa applicazione dell’ara 156 cod. civ., anche in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 5 cod. proc. civ., sostenendo che, ai fini del riconoscimento
del
diritto
all’assegno, la sentenza impugnata ha fatto generico riferimento al tenore di
vita goduto dai coniugi nel corso della convivenza ed ai redditi derivanti
dall’esercizio dell’attività professionale svolta da esso ricorrente, senza
tener conto dei concreti elementi di valutazione forniti al riguardo, ed ha
reputato inaffidabile la documentazione prodotta, senza individuare alcun
elemento contrastante con le relative risultanze, trascurando invece altre
circostanze, quali l’assegnazione in godimento della casa coniugale alla
moglie, la riduzione di reddito da lui subita dopo la cessazione della
convivenza e gli oneri connessi al mantenimento di un’altra figlia da lui
procreata;
b) la violazione e la falsa
applicazione dell’art. 156 cod. civ., anche in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5 cod. proc. civ., affermando che, nella valutazione della capacità
reddituale della Magro, la sentenza impugnata ha illogicamente escluso che la
stessa potesse intraprendere un’attività lavorativa, per il solo fatto che,
nonostante il possesso di una laurea in scienze agrarie e della relativa
abilitazione professionale, ella non aveva mai lavorato.
4. – Il ricorso è in parte infondato, in parte inammissibile.
Ai fini dell’imposizione a carico del ricorrente dell’obbligo di
contribuire al mantenimento del coniuge e del figlio, la sentenza impugnata siè
infatti attenuta al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di
legittimità in tema di separazione, secondo cui il parametro indispensabile di
riferimento per la valutazione di congruità dell’assegno è costituito dal
tenore di vita di cui i coniugi hanno goduto nel corso della convivenza, quale
elemento condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente,
al cui accertamento il giudice di merito deve procedere verificando le
disponibilità patrimoniali dell’onerato, senza limitarsi a considerare il
reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma tenendo conto anche
degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini
economici, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la
disponibilità di un consistente patrimonio e la conduzione di uno stile di vita
particolarmente agiato e lussuoso (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 11 luglio
2013, n. 17199; 24 aprile 2007, n. 9915; 27 giugno 2006, n. 14840).
Nell’ambito del predetto apprezzamento, la Corte distrettuale ha posto
correttamente in risalto una pluralità di elementi, univocamente attestanti la
disponibilità di considerevoli mezzi economici da parte del Gallo, e
segnatamente la titolarità di un cospicuo patrimonio immobiliare nonché di beni
mobili registrati, quali autovetture, motoveicoli e natanti, il cui
possesso,risultando di per sé sintomatico di uno standard di vita
particolarmente elevato, può ritenersi ampiamente sufficiente a giustificare il
giudizio d’inattendibilità espresso in ordine ai dati reddituali emergenti
dalla documentazione fiscale prodotta dal ricorrente. Tale valutazione non si
pone in alcun modo in contrasto con l’efficacia probatoria delle dichiarazioni
dei redditi, la cui funzione, tipicamente fiscale, esclude la possibilità di
attribuirvi portata vincolante al di fuori delle controversie riguardanti
rapporti tributari, restando il loro apprezzamento rimesso alla discrezionalità
del giudice, il quale è libero di andare il proprio convincimento su altre
risultanze probatorie (cfr. Cass., Sez. VI, 16 settembre 2015, n. 18196; Cass.,
Sez. 1, 12 giugno 2006, n. 13592; 28 aprile 2006, n. 9876).
Nel porre a confronto le potenzialità economiche delle parti, la sentenza
impugnata non ha poi affatto omesso di valutare la capacità di lavoro della
Magro, avendo dato puntualmente atto delle opportunità connesse al titolo di
studio universitario ed all’abilitazione professionale di cui la donna è in
possesso, ma avendone anche ridimensionato la portata, alla luce delle
difficoltà, ineccepibilmente desunte da nozioni di comune esperienza, che ella
è verosimilmente destinata ad incontrare nell’inserimento del mondo del lavoro,
a causa dell’età ormaiavanzata e della mancanza di precedenti esperienze
professionali. È noto d’altronde che l’attitudine al lavoro del coniuge, quale
elemento di valutazione della sua capacità di guadagno, in tanto può assumere
rilievo ai fini del riconoscimento e della liquidazione dell’assegno di
mantenimento, in quanto venga riscontrata in termini di effettiva possibilità
di svolgimento di un’attività retribuita, in considerazione di ogni concreto
fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed
ipotetiche (cfr. Cass., Sez. I, 13 febbraio 2013, n. 3502; 25 agosto 2006, n.
18547; 2 luglio 2004, n. 12121).
In
definitiva, nel contestare le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata,
il ricorrente non è in grado di evidenziare lacune argomentative o carenze
logiche del ragionamento seguito per giungere alla decisione, ma si limita ad
invocare ulteriori elementi, asseritamente trascurati, la cui valutazione non
potrebbe tuttavia condurre a risultati diversi, avuto riguardo all’accertata
consistenza delle risorse a sua disposizione ed alla mancata indicazione di
circostanze idonee a comprovare il deterioramento della sua situazione
economica o il mancato peggioramento di quella del coniuge. In tal modo, egli
dimostra di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione dei vizi di
violazione di legge e difetto di motivazione, unarivisitazione del giudizio di
merito, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare
la vicenda processuale, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica
e la coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui
competono, in via esclusiva, l’individuazione delle fonti del proprio
convincimento ed il controllo della loro attendibilità e concludenza, nonché la
scelta, tra le complessive risultanze processuali, di quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (cfr.
ex plurimis, Cass., Sez. I, 4 novembre 2013, n. 24679; Cass., Sez. E 16
dicembre 2011, n. 27197; Cass., Sez. lav., 19 marzo 2009, n. 6694)”.
Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione e gli
scritti difensivi in atti, ritiene condivisibile l’opinione espressa dal
relatore e la soluzione da lui proposta, non risultando meritevoli di
accoglimento le contrarie argomentazioni svolte nella memoria depositata dal
ricorrente, il quale si limita ad insistere su questioni di fatto già dedotte
nel ricorso, senza addurre ragioni idonee a giustificare una rimeditazione
delle predette conclusioni.
Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal
dispositivo.
P.Q.M.
La Corterigetta il ricorso, e condanna G.P. al
pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro
4.100,00, ivi compresi Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 100,00 per esborsi,
oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1-bis del medesimo art. 13.
Ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n.
196, dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omessi
le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
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